La notizia che stiamo per dare è, per certi versi, una “non notizia”: la “nuova” Direttiva Macchine europea (n. 2006/42/CE) non è ancora stata recepita dall’Italia. Quasi un primato negativo del nostro Paese, in compagnia solo del Lussemburgo e della Grecia, ovvero non proprio due “potenze industriali” tra i 27 Stati che attualmente costituiscono l’Unione Europea.
Da un punto di vista giuridico, in Italia rimane quindi in vigore la “vecchia” Direttiva Macchine, ovvero il DPR 459/96. Di conseguenza, l’attività di controllo degli enti preposti deve continuare a fare riferimento a questa norma, come se la “nuova” direttiva ancora non esistesse.
Tuttavia, pur non essendo ancora formalmente in vigore in Italia, tutti i soggetti italiani interessati hanno comunque il diritto di adottare e rispettare fin da ora la “nuova” direttiva europea, anche in forza di una consolidata giurisprudenza in tal senso. Un diritto che rappresenta anche una importante possibilità e opportunità, in relazione soprattutto alle esportazioni nell’Unione Europea: poiché quasi tutti gli altri Paesi dell’Unione hanno recepito la “nuova” direttiva, le aziende italiane che, già oggi, volessero vendere delle macchine in questi Stati, devono obbligatoriamente rispettare le prescrizioni della “nuova” direttiva, entrata in vigore, lo ricordiamo, il 29 dicembre 2009.
Per contro, le aziende italiane che producono e vendono macchine solo in ambito nazionale non hanno l’obbligo di rispettare la “nuova” direttiva, fino ovviamente al recepimento da parte del nostro Paese. Peraltro, dal punto di vista delle imprese utilizzatrici, in sede di acquisto di nuove macchine, appare in ogni caso consigliabile e raccomandabile, fin da ora, esigere il rispetto della “nuova” direttiva, anche per non ritrovarsi, magari solo tra pochi mesi, a recepimento avvenuto, con una macchina di fatto svalutata
Attualmente, pur esistendo già una bozza di decreto di recepimento, non è possibile prevedere quando esso sarà emanato. Tra l’altro, tale bozza prevede un innovativo sistema sanzionatorio, che determina l’importo della sanzione in proporzione al fatturato dell’impresa che ha commesso la violazione. In pratica, nell’ottica di una efficace dissuasione, la sanzione potrebbe arrivare a un massimo di 150.000 euro! Cui si dovrebbe aggiungere il rimborso di tutte le spese sostenute per l’attuazione della procedura di verifica.