MICROINQUINANTI NELLE ACQUE e CONTAMINAZIONE AMBIENTALE DEI LABORATORI

LABArticolo pubblicato su “LAB Il mondo del laboratorio
bimestrale luglio/agosto 2015 n. 4 – pagg. 88/89
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Per l’analisi delle acque “sotterranee” i valori limiti di contaminazione in molti casi generano seri problemi analitici. In particolare il requisito per cui l’analisi deve avere una sensibilità, fissata dalla normativa europea, come non superiore ad 1/10 del valore limite, spesso non può essere perseguito per la presenza in laboratorio di interferenze anche “ambientali” o dovute al processo analitico adottato.

La necessità di caratterizzare le matrici ambientali (acqua, aria, suolo, ecc…) e la presenza di contaminanti potenzialmente pericolosi ha determinato nell’arco dei recenti anni notevoli sviluppi sul piano normativo e tecnico-analitico. Significativo in tal senso è che il Legislatore, sia nazionale che internazionale, tenda ad analizzare nominalmente i singoli composti chimici, superando classificazioni merceologiche per gruppi di composti (solventi, pesticidi, ecc.). Il livello di dettaglio identificativo ha portato anche all’introduzione di limiti diversificati con soglie sempre più basse.

Le metodologie analitiche e le strumentazioni di laboratorio si sono quindi evolute, consentendo di raggiungere livelli di rilevabilità estremamente bassi.

In questo scenario un caso emblematico è rappresentato dalla definizione di “contaminazione” delle acque sotterranee ed in particolare dalla ricerca di microinquinanti. Il Legislatore a tal proposito richiede (All. 2 Parte IV, D.Lgs. 152/06) le seguenti performance del metodo: “ANALISI CHIMICA DELLE ACQUE – Le analisi chimiche saranno condotte adottando metodologie ufficialmente riconosciute tali da garantire l’ottenimento di valori 10 volte inferiori rispetto ai valori di concentrazione limite”

Per le acque “sotterranee” i valori attribuiti alla soglia di contaminazione in molti casi generano seri problemi analitici nel garantire il requisito soprarichiamato; sono sufficienti anche modeste interferenze “ambientali”, perché il processo analitico non offra adeguati requisiti di affidabilità.

Le interferenze di carattere ambientale sono riconducibili a diversi fattori, basti pensare all’aria immessa in laboratori a compensazione di quella estratta. I laboratori chimici d’analisi non sono “camere bianche”, sono previsti indicativamente fra i 5 e i 10 ricambi d’aria/ora e, in base alla collocazione urbanistica del laboratorio, vengono introdotte microparticelle sospese o composti volatili generati dalle attività antropiche esterne.

La contaminazione in laboratorio

In un laboratorio di analisi ambientali operante da decenni, pur avendo isolato lo strumento per l’analisi dei metalli (ICP-MS) in un locale dedicato e climatizzato con estrazione di aria bilanciata, sono stati registrati, seppur in modo random, durante prove di ripetibilità, valori più elevati di metalli (alluminio, zinco, rame) senza una ragione apparente, ma attribuibile a giudizio degli analisti, al pulviscolo atmosferico immesso; per questo il laboratorio sta valutando di operare in camera con pressione positiva per evitare queste potenziali contaminazioni.

Altro fattore fonte di possibile interferenza, nelle indagini su microinquinanti nelle acque sotterranee, è rappresentato dall’uso di acque potabili con funzione di bianchi di taratura che pur presentando eccellenti livelli di qualità per l’uso umano, su alcuni parametri prevedono limiti più “permissivi rispetto a quelli assunti nella valutazione delle acque sotterranee.

Particolarmente significativa è la possibile contaminazione intrinseca al laboratorio stesso, generata cioè dalle specifiche operazioni svolte nel processo analitico, dalla preparazione del campione, all’uso di sostanze ed eventuali effetti “memoria” e contaminazioni incrociate.

Si riporta il caso della determinazione dei composti organoalogenati nelle acque sotterranee, ove il Legislatore pone limiti molto restrittivi (Tabella 1). Queste tre molecole sono ampiamente utilizzare in laboratorio; il cloroformio è un solvente utilizzato per l’estrazione dei tensioattivi anionici nelle acque di scarico (APAT CNR-IRSA, Metodo 5170, Manuale n. 29 del 2003), il diclorometano per l’estrazione di numerosi microinquinanti organici, il tetracloroetilene utilizzato per la determinazione in FT-IR.

Nel laboratorio sono state confrontate due rette di taratura per misure in GC/MS riferite a diclorometano (Figura 1) impiegato come reattivo in quel laboratorio e 1,1,1-tricloroetano non utilizzato come reattivo (Figura 2).

Le due rette di taratura confermano un eccellente grado di interpolazione dei valori ottenuti con gli standard, ma mentre per il tricloroetano l’intercetta non presenta criticità, per il diclorometano vi è un valore soglia sotto al quale non è possibile identificare alcun contributo. Tale comportamento è attribuibile, con molta probabilità, alla presenza e manipolazione di tale composto nel laboratorio ma, aspetto più importante, tale intercetta è superiore a 1/10 del limite fissato dalla normativa e pertanto viene meno il rispetto del requisito previsto per questa misura.

La misura del “Bianco”

La determinazione del “Bianco” di processo, prevista dalle metodiche analitiche, non elimina questa problematica, tracce di questi composti volatili sono riscontrabili, sia nelle acque bidistillate in uso presso i laboratori che in alcune acque minerali. La possibile contaminazione in tracce connessa all’attività di Laboratorio naturalmente non può prescindere dalla problematica posta dalle fasi di campionamento, trasporto e conservazione.

Molti metodi ufficiali per valutare possibili contaminazioni prevedono correttamente l’analisi dei “bianchi di campo”, “bianchi di lotto”, “bianchi di taratura”, analisi che andrebbero accompagnate da certificazioni con i relativi valori di incertezza.

Nell’ambito di analisi su matrici ambientali esposte alla possibile presenza di microcontaminazione, preme segnalare anche quanto disposto dalla NORMA UNI EN 12457-2:2004 per la prova di eluizione su matrici solide (terreni, rifiuti inerti ecc.).

Al punto 5.4 viene indicato che “L’eluato di tale prova in bianco deve soddisfare i seguenti requisiti minimi: nell’eluato della prova in bianco, la concentrazione di ogni elemento considerato deve essere minore del 20% rispetto alla concentrazione determinata nell’eluato del rifiuto sottoposto a prova o minore del 20% della concentrazione nell’eluato di un valore limite al quale deve essere confrontato il risultato della misurazione. Gli elementi da prendere in considerazione sono tutti elementi che devono essere determinati nell’eluato del rifiuto sottoposto a prova.”

E’ opportuno sottolineare che l’esito del test deve essere accompagnato dal rapporto di prova dell’analisi del Bianco per il quale la norma fissa precisi requisiti di validità.

L’esperienza condotta negli anni permette di avanzare alcune osservazioni:

–    il Legislatore tenga conto dei valori che non possono tecnicamente essere raggiunti sul piano analitico;

–    si eliminino le ricerche di parametri ubiquitari, la cui presenza ormai è nota sia per i metalli che composti volatili;

–    i risultati delle prove di analisi siano accompagnati dalle incertezze di misura e valori sui Bianchi. Si definiscano nelle metodiche in via generale, i criteri di accettabilità del Bianco e come eventualmente sottrarre tali valori dalle misure sul campione indagato.

Tabella 1 – Limiti dei composti organoalogenati nelle acque sotterranee

D.Lgs. n. 152/06Parere ISS 005569Limite di rilevabilità
Cloroformioμg/L0,150,015
Diclorometanoμg/L0,150,015
Tetracloroetileneμg/L1,10,11

 

Figura 1 – Retta di taratura per misure in GC/MS riferita a diclorometano

Diclorometano

 

Figura 2 – Retta di taratura per misure in GC/MS riferita a 1,1,1-tricloroetano

1,1,1-Tricloroetano

 

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